Psicoterapia

Psicoterapia a Livorno

La psicoterapia è un percorso di conoscenza, crescita e cambiamento della persona, che ha l’obiettivo di superare un blocco interno che impedisce a ciascuno di svolgere una vita completa ed appagante e che limita in modo significativo la capacità di utilizzare a pieno le proprie risorse, capacità, potenzialità e quindi soddisfare i bisogni di quella persona.

Psicoterapia del bambino

Nel trattamento della psicopatologia o di problematiche emotive, comportamentali o circostanziali del bambino, gli interventi psicologici implicano il coinvolgimento dei genitori e talvolta anche degli insegnanti. 

E’ importante infatti tenere in considerazione i contesti primari dove il bambino trascorre la maggior parte del suo tempo, in modo da conoscere i vari aspetti in cui si manifesta il comportamento problema e progettare un lavoro di rete condiviso che porti al benessere del bambino stesso. 

E’ importante che i genitori siano sostenuti nel loro ruolo educativo e affettivo in quanto sono loro i veri esperti del loro bambino, sia quando sta bene sia quando soffre.
Gli interventi psicologici in età evolutiva comprendono:
  • Sostegno alla genitorialità
  • Psicoterapia con in bambini
  • Percorsi psicoeducativi
Per la progettazione dell’intervento psicologico più utile per il bambino è necessario un percorso di assessment psicodiagnostico che preveda:
  • Colloqui con i genitori
  • Compilazione di interviste e questionari sia per i genitori sia per i bambini ed eventualmente per i loro insegnanti
  • Colloqui con il bambino
  • Osservazione del bambino durante il gioco
  • Eventuale valutazione del livello cognitivo e, se necesario, approfondimenti neuropsicologici

Psicoterapia dell'adolescente

L’adolescenza è una fase molto critica per molteplici punti di vista. Infatti rappresenta una fase di passaggio dall’età infantile a quella adulta, quindi il ragazzo ha bisogno di costruirsi un’identità, di separarsi gradualmente dai genitori e di “entrare” nel gruppo dei pari. Inoltre anche il corpo cambia notevolmente, quindi molte volte il ragazzo non si riconosce, non si accetta, non si piace. Il tutto è accompagnato da una “tempesta” emotiva caratteristica di questa fase di “passaggio”.

Si tratta di una crisi che non riguarda solo l’adolescente; tutta la famiglia è direttamente coinvolta.
Attraversare questa fase è fondamentale per approdare a una modalità adulta di porsi e di essere. L’adolescente è come un acrobata che lascia il trapezio per saltare su un altro trapezio. Tale salto avviene in sicurezza se la rete relazionale (famiglia e amici) lo sostiene, ma anche la sua rete di pensieri ed emozioni deve essere pronta a elaborare questa fase di passaggio. 

Che cosa accade se ciò non avviene?
Quando il ragazzo non si sente sostenuto né dall’esterno (famiglia, amici, scuola) né dall’interno (pensieri e emozioni non ancora ben gestiti o elaborati) vi può essere una caduta, che si può manifestare con ansia, depressione, gesti autolesionistici, disturbi dell’alimentazione, fobie sociali, difficoltà ad andare a scuola, episodi di bullismo, abusi di alcool o droghe. In questi casi chiedere aiuto è il primo passo per rialzarsi. Ed è fondamentale che il genitore o l’insegnante si accorgano di queste “cadute”.

Come si lavora con l'adolescente

E’ fondamentale che lo psicoterapeuta ascolti i bisogni e desideri nascosti dietro il sintomo, tenendo conto dell’età del paziente, dell’importanza dell’ambiente in cui vive e delle sue figure di riferimento. Infatti risulta molto importante anche aiutare e sostenere i genitori, in primis per comprendere ciò che sta accadendo al figlio e successivamente per aiutare loro a supportalo nella maniera più efficace senza invadere i suoi spazi.

Avere la collaborazione dei genitori significa rafforzare quella rete che deve sostenere il giovane nel fare il “salto”
L’obiettivo è quindi quello di superare l’ostacolo che sta bloccando il ragazzo nella sua crescita e nel suo affermarsi come individuo.

Compito del genitore è trovare quel difficile e sottile equilibrio tra lo stare accanto e guardare a distanza.
Lo psicoterapeuta aiuta l’adolescente a far uscire emozioni, pensieri, sogni e desideri che sono spesso vissuti come segreti o inaccettabili. Il ragazzo diventa protagonista del processo terapeutico, e quindi di conseguenza della propria vita, nel momento stesso in cui chiarisce a se stesso chi è e chi non vuole essere.

Psicoterapia dell’adulto

È un percorso che porta a ridurre la sofferenza emotiva, ad attenuare/risolvere i sintomi di origine psichica (stati d’ansia, attacchi di panico, disturbi ossessivo/compulsivi, somatizzazioni, disturbi dell’alimentazione, ecc…), a favorire un’evoluzione della persona affinché possa vivere meglio con se stessa e con gli altri, esprimere le proprie potenzialità e affrontare i momenti di difficoltà della vita. In generale quindi mira alla promozione del benessere psichico dell’individuo.

Prima di iniziare un percorso di psicoterapia generalmente vengono alcuni incontri in cui si cerca di individuare le problematiche e verificare insieme l’opportunità di un percorso di questo tipo, nonché la motivazione della persona ad intraprenderlo.

La psicoterapia porta la persona a una più profonda conoscenza di sé, tramite la presa di coscienza della propria storia, delle proprie dinamiche intrapsichiche e relazionali, delle proprie caratteristiche, capacità e potenzialità, come anche attraverso il riconoscimento e l’accettazione dei propri limiti, delle proprie fragilità e delle proprie difese psichiche. 

Lo “strumento” principale è il colloquio, che può essere integrato con strumenti e tecniche diverse (tecniche di rilassamento, meditazione, tecniche immaginative, test psicodiagnostici, ecc…) a seconda dell’orientamento del terapeuta e dell’opportunità di utilizzo nella singola situazione.

Anche i tempi della psicoterapia (lunghezza del percorso, frequenza degli incontri) dipendono dal diverso approccio dello specialista e dalla specifica situazione di chi si rivolge allo psicoterapeuta, ma in tutti i casi il percorso richiede un coinvolgimento importante della persona che insieme al terapeuta collabora per facilitare il proprio cambiamento.

E POI LA CHIAMANO CHIMICA: ALLE ORIGINI DEL RAPPORTO DI COPPIA
Cosa guida gli individui nella scelta del partner? L'innamoramento e la decisione di investire o meno in un relazione di coppia avvengono in maniera casuale o sono guidati da meccanismi specifici e ricorrenti? Cosa si nasconde dietro a quella che comunemente chiamiamo "chimica" e che ci fa da calamita proprio verso quella persona, che identifichiamo e riconosciamo come partner ideale?

La teoria dell'attaccamento, elaborata dallo psichiatra inglese John Bowlby negli anni Sessanta, viene in aiuto nel rispondere a queste domande. Secondo questo studioso, infatti, fin dalla nascita l'individuo è guidato dal bisogno di instaurare e mantenere un rapporto di vicinanza alla figura di accudimento preferenziale (nella nostra cultura, tendenzialmente, la madre), presso cui ricerca protezione e rifugio emotivo, sperimentando un senso di ansia e pericolo quando essa viene percepita come distante e non disponibile.
Bowlby ritiene quindi che la qualità del legame di attaccamento si fondi su istanze affettive ed emotive, e non solo di sopravvivenza puramente fisica, come teorizzato fino a quel momento dal pensiero psicoanalitico dell'epoca: l'individuo sviluppa pertanto un legame di attaccamento sicuro o insicuro a seconda che percepisca o meno l'adulto significativo come accessibile e disponibile nel fornirgli conforto e rassicurazione nei momenti di stress. Sperimentare la figura di attaccamento come una base sicura permette al bambino di ingaggiare e inoltrarsi nell'esplorazione dell'ambiente esterno in maniera adeguata, sostenuto dalla convinzione di poter fare ritorno alla sua fonte di sicurezza qualora ne avesse bisogno, oltre che di esprimere, comprendere e strutturare il proprio mondo emotivo in maniera coerente. Sperimentare relazioni affettive insicure comporterà invece l'emergere di: strategie evitanti nella gestione delle proprie emozioni, connotate dall'inibizione di queste ultime e finalizzate a preservare la vicinanza di una figura materna vissuta come rifiutante o poco propensa a rispecchiare ed accogliere i vissuti negativi; piuttosto che strategie di tipo ambivalente, connotate darabbia e ansia da separazione, a fronte di una figura attaccamento instabile ed altalenante nel fornire risposte sintonizzate e coerenti ai bisogni espressi dal bambino. All'interno del legame di attaccamento, inoltre, l'individuo costruisce dentro di sé quelli che Bowlby chiama modelli operativi interni (MOI), ossia degli schemi relativi all'immagine di sé (come degno o non degno di amore e protezione), dell'altro (come sensibile e sintonizzato sui suoi bisogni e sulle sue emozioni piuttosto che spaventato e rifiutante nei confronti di questi ultimi) e del funzionamento della relazione, schemi che lo guideranno anche nei suoi rapporti significativi futuri. Spinti dall'intrinseca ricerca di familiarità e ricorrenza, infatti, gli individui tendono a percepire come più gradevoli le persone che richiamano il loro passato, cioè che attivano e confermano gli schemi che già possiedono, rafforzandoli ulteriormente. Gli studi effettuati da Hazan e Shever (1987; 1992) confermano l'idea di una forte correlazione fra lo stile di attaccamento sviluppato all'interno delle relazioni primarie ed il funzionamento di coppia in età adulta. Pur ammettendo un certo margine di
 variazione dall'attaccamento infantile a quello adulto, dettato da altre variabili interpersonali ed eventi di vita, la qualità del legame di attaccamento tenderà pertanto a preservarsi nel corso del ciclo di vita.
Tutti gli esseri umani, infatti, sperimentano nel corso della loro esistenza il bisogno di costruire legami all'interno dei quali, ognuno in maniera diversa a seconda dei propri bisogni e del proprio funzionamento, sentirsi al sicuro. Vediamo in che modo.

Individui con attaccamento sicuro sono portati a ricercare e vivere relazioni all'interno delle quali percepiscono sè stessi e l'altro come amabili, degni di fiducia, aiuto e sostegno reciproco, oltre a riuscire ad affrontare più facilmente i cambiamenti e le fluttuazioni all'interno della vita di coppia,
 ad accettare i momenti di distacco ed a trovare una risoluzione positiva ai conflitti.
Il funzionamento di tipo evitante/distanziante si accompagna invece ad una certa paura dell'intimità, a sentimenti di rifiuto e rinuncia, a vissuti di solitudine, al tentativo di evitare in tutti i modi le discussioni. Infine, l'attaccamento ambivalente/preoccupato si distingue per vissuti e comportamenti di tipo controllanti, autoritari e talvolta ossessivi nei confronti della relazione e del partner, sentimenti di forte gelosia, dipendenza e sensi di colpa, bisogno di eccessiva vicinanza, sentimenti altalenanti e contrastanti verso sé stessi, l'altro e la relazione.
Pertanto, come si evince da una ricerca di Fisher e Crandell (2001), i quali hanno esplorato i possibili incastri nell'attaccamento di coppia, relazioni fondate su un attaccamento di tipo sicuro si sviluppano quando entrambi i partner assolvono in maniera complementare e reciproca ai ruoli di accudimento, esprimono apertamente e liberamente il bisogno di conforto e contatto, instaurando un equilibrio fra le proprie rispettive istanze. Individui classificabili come sicuri tenderanno a legarsi a partner a loro volta sicuri ma, essendo dotati di una buona base di autonomia e sicurezza, sono anche in grado di sostenere un legame con soggetti dotati di bassi livelli di insicurezza, i quali in tal caso possono sperimentare esperienze di attaccamento potenzialmente trasformative.
Un funzionamento di tipo distanziante trova invece conferma alle proprie rappresentazioni interne in un partner a sua volta evitante, poco disponibile e poco pronto a cogliere i suoi bisogni e fornirvi risposte
 adeguate, ma anche in individui con attaccamento ambivalente, le cui eccessive richieste e manifestazioni di dipendenza rinforzano la sua idea di vicinanza emotiva come qualcosa di pericoloso e lesivo per sé stessi e per la relazione. Parallelamente l'evitante fornisce al partner ambivalente la conferma ai suoi vissuti ed alle sue costanti paure di abbandono e deprivazione.
Infine, legami fra individui ambivalenti, in cui entrambi reclamano con forza il soddisfacimento dei propri bisogni, spesso a scapito di quelli dell'altro, ricalcano per entrambi la lo schema del sé come non degno di accudimento e quello dell'altro come non disponibile e non accogliente.
Spesso la richiesta di un percorso terapeutico di coppia scaturisce nel momento in cui i rispettivi schemi dei partner, ed i conseguenti cicli di interazione negativa, si sono irrigiditi al punto da generare una situazione conflittuale insostenibile e livelli di sofferenza elevati, oppure quando le strategie emotive e relazionali adottate fino a quel momento per qualche motivo non funzionano più nel preservare l'equilibrio della coppia. Una terapia di coppia può pertanto aiutare a disvelare i bisogni emotivi e di attaccamento sottostanti ai pattern relazionali in atto, promuovendo un'interazione reciproca più flessibile ed una comunicazione più funzionale ed adattiva fra le parti.
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